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Maratona in acqua alta

Punto uno: questa maratona non ho mai voluto correrla perchè non mi entusiasmava alla follia un percorso con solo due km all’interno della Serenissima e il resto tra zone industriali e periferie (almeno questo avevo capito).

Punto due: se la tua carissima amica Paola, quella che ti ha portato a fare i tuoi primi 42 km, ti chiede di accompagnarla, come pacer, proprio a quella maratona che cosa fai le dici di no solo perché non è di tuo gradimento? Io l’ho fatto, ma lei ha insistito e così sabato mattina mi sono ritrovata seduta sul treno direzione Venezia.

Punto tre: contentissima di aver partecipato alla gara, non solo perché la maratona in sé è bella da correre, ma perché questa 33° edizione resterà nella storia e noi potremo dire “Io c’ero!”

Questa Venice Marathon non parte sicuramente con i migliori auspici, per domenica, giorno della gara, sono previste abbondanti piogge e tanto tanto vento. Ed infatti quando il bus dell’organizzazione ci scarica a Stra, zona della partenza, diluvia e tira un gran vento. Cerco d’indovinare quale potrebbe essere l’abbigliamento migliore e, naturalmente, sbaglio perchè, un’ora dopo, allo start, c’è il sole e così mi ritrovo, legato in vita, un triplice strato tra fascia porta pettorale, marsupio e giacca antivento (sorvolando sul cappello antipioggia agganciato da qualche parte).

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Ad un ora dal via

I primi 20 km di corsa si snodano lungo il fiume Brenta colorato di verde come gli alberi che lo circondano con, ai lati delle strade, tanta tanta gente che urla, incita, applaude.  Un tifo incredibile; raramente mi è capitato di sentire così tanta partecipazione durante una maratona. Ci sono i bambini che allungano la manina per avere il fatidico “batti 5” e gli anziani, affacciati alle finestre di ville e casali di una bellezza incredibile, che ti sorridono e salutano tutte le volte che gli urli un “Buongiorno!”. Comincio a pensare che decidere a priori di non fare una gara basandosi solo sui “sentito dire” non sia un’idea particolarmente furba. Questa prima parte è anche divertente perché le persone hanno ancora la voglia e la forza di chiacchierare e sentire i discorsi, normalmente poco seri, degli altri aiuta a far passare il tempo.

Non mi dimentico che sono qui come pacer, che devo far mantenere a Paola un passo costante cosa che, devo ammettere, non è proprio il mio forte, per cui mi ritrovo a guardare il GPS ogni istante per paura di farle fare l’elastico (troppo veloce, rallento; troppo lento accelero) che la farebbe stancare troppo e rischierebbe di rovinare la sua performance. Solo quando mi rendo conto, con mio sommo stupore, che il passo medio rimane fisso e invariato mi concedo  un po’ più di relax.

Io e Paola

E’ arrivato il sole

Dopo il 20° km si abbandona il Brenta e si entra nella zona di Marghera, che dà il via alla parte meno entusiasmante del percorso, contraddistinta da periferie e zone industriali. Anche il meteo sembra risentire del cambiamento di paesaggio: il sole è sparito, si è alzato un po’ di vento e ogni tanto uno sguazzo di pioggia ci tiene compagnia. Io e la mia socia proseguiamo in silenzio se non per comunicazioni di servizio, il gruppo dei corridori si è lentamente disgregato e i pochi che sono intorno a noi hanno sempre meno voglia di chiacchierare e fare battute; è arrivato il momento in cui il fiato è meglio tenerlo per correre.

Arriviamo al parco S. Giuliano che giriamo in tutte le direzioni con il vento contrario che si fa sentire in modo più insistente, ci ridiamo sopra ignare che è solo l’antipasto di quello che ci aspetta a breve.

Finalmente, e siamo al 33° km, lasciamo il parco e ci inerpichiamo sulla salita che porta allo spauracchio di questa maratona: il Ponte della Libertà. Tutti ne parlano come di una cosa terribile da affrontare: 4 km di rettilineo infinito che collega la terraferma con Venezia.

Ponte libertà

Il ponte della libertà

Ho sempre pensato che si trattasse di un’esagerazione dovuta al fatto che la gente arriva a quel punto stanca e quindi meno lucida. Mi dico: cosa vuoi che siano 4 km, in un attimo si fanno! Questo pensiero così intelligente scompare non appena la salita finisce e sollevo lo sguardo. Quello che vedo mi getta nello sconforto più totale: Venezia c’è, se ne vedono i contorni all’orizzonte, ma non è possibile che siano solo 4 km quelli che ci separano, saranno almeno 10. A questo aggiungiamo che c’è un muro d’aria (definirlo vento è troppo riduttivo) che ci blocca e non ci fa procedere se non spingendo a forza un passo dopo l’altro a testa bassa. Ogni volta che tento di rialzare un po’ la testa sono sempre più convinta che la Serenissima sia un miraggio: non sembra essersi avvicinata neanche di un metro; eppure noi continuiamo a correre ed il tempo sta indubbiamente passando. Ad un certo punto Paola mi urla “Ma quanto siamo fighe non abbiamo smesso un attimo di correre!”, ed ha ragione, abbiamo superato molte persone che hanno deciso di smettere di combattere contro la tempesta e proseguono camminando. A metà ponte c’è un ristoro, prendiamo rapide un bicchiere di Sali e proseguiamo, se ti fermi troppo non riparti più. Penso a questi poveri ragazzi che devono stare nel posto più infame di tutta la competizione per dare modo a noi di ristorarci, stanno sicuramente congelando eppure sono qui con il sorriso sulle labbra e pronti ad allungarci tutto quello di cui abbiamo bisogno.  E incredibilmente i palazzi di Venezia cominciano a delinearsi in modo più netto e a noi torna il buonumore perchè se è vero che il vento non ha smesso un attimo di darci contro è altrettanto vero che noi abbiamo saputo tenergli testa, che abbiamo corso lungo tutto questo dannatissimo ponte e che ormai a pochi km di distanza c’è il traguardo ad aspettarci. Ormai non ci ferma più niente e nessuno.

Come no …

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Neanche il tempo di tirare il fiato al riparo delle case e vediamo il primo dei 14 ponti da superare e … l’acqua alta! Ma come era prevista solo in S. Marco e infatti il percorso è stato modificato per non farci passare da li, ma qui sui canali no! L’acqua ci arriva fino a metà polpaccio e noi stanche e anche un po’ demotivate “tiriamo i remi in barca”, al diavolo il tempo, il passo costante, le previsioni di arrivo, salta tutto!

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E allora smettiamo di fare le maratonete e torniamo un po’ bambine “zompettando” nelle onde che si infrangono sui palazzi e ritornano indietro, un po’ camminando, un po’ corricchiando fino ad arrivare all’agognato traguardo.

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E un selfie non vogliamo farcelo?

E quindi? (come ci siamo dette io e Paola per tutta domenica)

Il percorso mi è piaciuto per una gran parte; d’altronde ci sono tracciati che si possono definire belli dall’inizio alla fine?

Il ponte della libertà rappresenta un’agonia, mi viene da paragonarlo ai Dissennatori di Harry Potter                  Dissennatore

che ti tolgono ogni gioia di vivere. Ma affrontarlo con tutto quel vento contrario diventa talmente sfidante che alla fine ci si sente quasi degli eroi.

 

Il percorso in città è veramente poco, soprattutto se si salta Piazza S. Marco, ma l’essere circondati da una bellezza senza paragoni ed incitati in tutte le lingue del mondo dai turisti che passeggiano al tuo fianco lo rendono veramente unico.

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Medaglia … medaglia

Certo un po’ di “carogna” viene se si pensa alla fatica fatta per riuscire ad ottenere un risultato che non arriverà per cause esterne, ma d’altra parte, tra qualche anno, le ore, i minuti ed i secondi impiegati saranno dimenticati, ma noi resteremo sempre quelli che potranno dire di aver corso una maratona con l’acqua alta!

Acqua alta

Scuron Night Trail

Correre una maratona a Luglio? Difficile, c’è troppo caldo.

Ma se qualcuno ne organizzasse una in notturna, magari anche un marathon trail, sui colli piacentini, con 1.100 m di D+?

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Il tracciato

Ed eccomi alla partenza, insieme ad altri 180 runner, pronta ad affrontare questa nuova esperienza: 42 km tutti nel buio della notte, che dirlo così sembra facile se non fosse che una delle mie più grandi paure è proprio quella di perdermi, di notte, in montagna. In fondo è per questo motivo che ho deciso di farla, per riuscire a superare anche questa paura!

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Si parte

Partiamo alle 21 da Carpaneto Piacentino, i primi chilometri sono in piano, in parte attraverso i campi coltivati, che qui non mancano, ed in parte in un boschetto con un po’ di sali e scendi, ma niente d’impegnativo. Le frontali vengono accese subito, nonostante sia ancora luglio le giornate si sono accorciate e il buio sta prendendo il sopravvento. La terra, dopo mesi di siccità, si è trasformata in sabbia; in alcuni punti le scarpe fanno fatica a fare presa e infatti al nono chilometro, mentre affronto una salita, scivolo e cado sulle ginocchia. Cominciamo bene! Fortuna che c’è solo qualche graffietto. Arriva la prima salita impegnativa, all’interno del bosco; in alcuni punti i tracciatori hanno dovuto creare degli scalini per permetterci di salire; nessuna scarpa ha abbastanza grip su questo terreno riarso. E mentre cammino (devo farmene una ragione sono una stradista)  vedo le lucciole svolazzare davanti a me; è da quando ero bambina che non ne vedo più. Un’emozione incredibile che purtroppo dura poco, perchè si scende, e di bruto anche! Praticamente sono su un single track stretto ed in alcuni punti con una discreta pendenza, chiuso dai rami degli alberi e con le radici che sbucano ovunque. Forse la lampada al petto invece della classica frontale non è stata un’idea geniale, non ho una gran visibilità. Finalmente si torna all’aperto, mi giro e alle mie spalle vedo tanti puntini luminosi, qualcuno mi sta seguendo. Alzo gli occhi e gli stessi puntini li vedo nel cielo ricoperto da una miriade di stelle; uno spettacolo in questa notte così limpida.

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I runner alle mie spalle

Si sale e si scende su lunghi pratoni, per il momento la paura di perdermi è accantonata, vedo davanti a me le luci di chi mi precede e dietro sento le voci di chi mi segue. Comunque il percorso è tracciato in modo perfetto, difficile perdersi, ogni pochi metri si trova una bandella con il suo catarifrangente.

Senza troppi affanni arrivo al 19° km, Rustigazzo, dove si trova il ristoro principale e il  punto di controllo. Bevo e mangio un bel pezzo d’anguria, fresca e dolce; sono indecisa se caricare le borracce, fa molto caldo e ho bevuto tanto, ma decido di aspettare al ristoro successivo. Saluto, riparto e per un po’ mi perdo nei miei pensieri ascoltando la musica proveniente dal paese successivo dove hanno organizzato la tipica festa estiva. Si scende nuovamente, la musica si è affievolita e di colpo mi rendo conto di essere completamente sola: nessuna luce, nessuna chiacchiera. Attimo di panico! Poi mi domando perchè; sto bene, il percorso è ben segnalato, il tracciato è faticoso e impegnativo, ma non difficile e sono qui anche per questo: se voglio pensare di allungare le mie gare devo imparare ad affrontare la loro componente notturna. Mi rilasso e riparto al mio passo: camminata in salita, corsa in discesa; finchè non sento grufolare nei cespugli al mio fianco: i cinghiali! Secondo attimo di panico: cosa faccio accelero o mi metto a camminare? Intanto che la testa ragiona le gambe hanno già deciso e mi ritrovo a volare sul sentiero; nessun rumore alle mie spalle,  fortunatamente non mi hanno seguita, posso riprendere un’andatura più rilassata. Ogni tanto incontro qualche cascina dove i cani cominciano ad abbaiare appena ci si avvicina, penso alla nottataccia dei poveretti che ci abitano e a tutte le maledizioni che ci staranno tirando.

Dal 20° al 30° km ci sono tre salite veramente dure, di quelle da affrontare praticamente piegati in due e, visto che non ho le racchette, con le mani sulle gambe, per aiutarle nella spinta. Caspiterina che fatica!

Intorno al 25° km vengo superata, nel giro di poco tempo, da cinque corridori; siamo in un tratto non particolarmente impegnativo, significa che sono io che ho rallentato. Mi rendo conto che mi sono completamente dimenticata di mangiare,  le barrette sono ancora nello zaino. Non ho nessuna fame, ma devo mangiare qualcosa altrimenti non riuscirò mai ad arrivare alla fine; così appena inizia una salita attacco, con molto poco entusiasmo una barretta. Ammetto che fa subito effetto, mi sento non solo più in forze, ma anche con la mente meno annebbiata; sono sempre molto furba, devo sempre arrivare alle stremo prima di decidermi a nutrirmi. Peccato che quei cinque non li recupererò più.

Ho l’impressione che la lampada faccia un pò meno luce, fortuna che ho quella di ricambio nello zaino; mi viene un sospetto: non ho controllato il materiale prima di partire e se la lampada fosse caduta in macchina? Palpo freneticamente l’esterno dello zaino per sentire la frontale, non sento niente, in compenso mi sbilancio e rischio di cadere. O lascio perdere e decido che c’è tutto, oppure mi fermo e controllo; il problema è richiudere i gancetti con quelle asole microscopiche e con questo buio. Con un po’ di apprensione proseguo, cercando di fare i conti su quanto tempo ancora dovrei correre e quanta durata ha questa lampada (chiaramente alla fine scoprirò di averli sbagliati entrambi).

Arrivo al 30° km e all’ultimo ristoro: acqua e coca (ormai un must) e un altro pezzo d’anguria. Ricarico una borraccia con l’acqua fresca della fonte e riparto. Gli ultimi 6/7 km ripassano sulla stessa strada dell’andata e sono praticamente in piano, il grosso dello sforzo sembra essere fatto; ancora due grufolate a farmi compagnia, mi sto abituando e non rischio più l’infarto. Al 35° km sbuco dal bosco e non trovo la strada, strano fino ad ora è sempre stata segnata in modo impeccabile; mi guardo intorno, muovo la lampada e finalmente vedo le frecce a terra, ma non capisco dove portino, davanti a me c’è solo una collina coltivata. Alzo gli occhi e vedo le lucine che salgono lungo questa collina: ha una pendenza pazzesca! Attimo di sconforto, ma non posso fare altro che arrancare fino in cima. Questa è proprio l’ultima, guardo l’altimetria sull’orologio, praticamente è fatta. Attraverso un campo di aglio e l’odore è fortissimo, quasi nauseante; mi distraggo guardando il cielo che sta diventando rossiccio, l’alba si avvicina, mi domando che ore siano.  Finalmente ritrovo il tracciato dell’andata, dentro al boschetto, ma adesso non mi sembra così bello; anzi, ho l’impressione di essere una biglia che rotola all’interno di una di quelle piste che si costruiscono sulla spiaggia e con tanto di paraboliche. Su e giù, avanti e indietro, ogni volta che credo di essere arrivata alla fine, trovo un’altra svolta, sembra non avere fine; inciampo un paio di volte, ma incredibilmente riesco a stare in piedi. Mi ritrovo a cantare “Take me home” di John Denver, sghignazzo pensando a come sono messa male. Finalmente sbuco all’aperto e in un attimo sono sull’asfalto di Carpaneto; è fatta! Col cavolo! Gira a destra, poi a sinistra, poi dritto, poi gira ancora, ma allora arriviamo si o no? Finalmente dopo l’ennesima svolta vedo il gonfiabile, sono arrivata, lo passo, la foto e la medaglia (tra l’altro molto bella)!

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Finisher

C’è il pasta party con anche i salumi, ma lo stomaco è chiuso, l’unica cosa che riesco a mangiare è l’anguria, oggi sono monotematica. Alterno un bicchiere d’acqua ad un pezzo di anguria finchè non mi sento sufficientemente sazia e pronta per farmi una bella doccia rigenerante.

Sono contenta di essere venuta; la corsa è stata molto più impegnativa e quindi molto più soddisfacente di quanto pensassi; le gambe hanno retto abbastanza bene anche se dal 25° km il nervo sciatico si è fatto sentire in tutto il suo splendore; forse non ho superato totalmente la mia paura della montagna di notte, ma sicuramente sono pronta ad affrontarla con uno spirito diverso; l’organizzazione è stata ottima sotto tutti i punti di vista e questo ha fatto si che ci si potesse divertire senza ansie particolari. Una bella nottata con lucciole, stelle, animali grufolanti e me stessa.